Vantaggi
per la sclerosi multipla dalle nuove tecniche di risonanza magnetica
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE
- Anno XV – 02 giugno 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La metodica della risonanza magnetica nucleare (MRI, da magnetic resonance imaging) ha
un’importanza cruciale nella clinica della sclerosi
multipla, la principale patologia demielinizzante e la malattia neurologica
più comune fra i giovani adulti[1]. Per
la diagnosi, il monitoraggio della patologia, la valutazione dell’efficacia dei
farmaci e la formulazione di un giudizio prognostico, non si può prescindere
dall’impiego di questo straordinario esame, diretto nei tre piani ortogonali
dello spazio, in grado di fornire una caratterizzazione tessutale e cellulare,
estremamente sensibile alla struttura della mielina oligodendrocitica, che ci
consente di visualizzare lesioni anche minime.
La diagnosi di sclerosi
multipla, facile quando più lesioni nelle sedi tipiche si accompagnano a
manifestazioni cliniche dovute all’interessamento del nervo ottico, del tronco
encefalico, del cervelletto e del midollo spinale, diventa difficile nelle
presentazioni atipiche, quando la risonanza magnetica rileva una lesione
apparentemente unica o non si ha riscontro nei reperti di laboratorio
caratteristici. In passato, l’orientamento prevalente suggeriva nei casi dubbi
un monitoraggio d’attesa con verifiche negli anni successivi; ma, considerate
le differenze prognostiche fra i casi trattati precocemente e quelli
diagnosticati tardi, oggi si ritiene che ogni sforzo debba essere compiuto per
giungere prima possibile, in ogni caso, a una diagnosi di certezza.
Al vecchio criterio proposto
da McAlpin nel 1972, basato sul rilievo di due
o più lesioni separate nel tempo e nello spazio, e che oggi costituisce un
riferimento di base, sono seguiti i criteri di McDonald[2], con
i successivi aggiornamenti. Le scansioni tomografiche ottenute con la MRI hanno
un ruolo sempre più importante; infatti, le lesioni T2-pesate/FLAIR sono state
incluse nei criteri diagnostici dal 2001 e il ruolo della metodica ha assunto
un valore sempre maggiore ad ogni revisione dei criteri di McDonald.
Come è noto, le tipiche
lesioni focali iperintense in varie aree del sistema nervoso centrale,
visualizzate al tempo di rilassamento T2 e alle sequenze FLAIR, sono elementi
chiave per la diagnosi di sclerosi
multipla, ma possono essere usate anche per
monitorare il grado di attività della malattia, particolarmente nei
pazienti asintomatici, e per valutare la risposta alle terapie. Lo sviluppo di nuove lesioni, particolarmente nella
localizzazione midollare e infratentoriale (tentorio del
cervelletto), è un forte elemento prognostico per la disabilità a lungo termine e di notevole rischio di evoluzione
verso una fase secondariamente
progressiva.
Ma in molti casi accade che le
variazioni nel volume della lesione in T2 siano inaffidabili per un giudizio
prognostico, in particolare per il tipo di evoluzione che avrà la malattia,
così che in questi pazienti si parla di “paradosso clinico-radiologico”.
Come si può affrontare questo
problema?
Louapre dell’Istituto del
Cervello e del Midollo
Spinale dell’Università La Sorbona, presso il celebre Ospedale della
Pitié-Salpêtrière di Parigi, propone una soluzione in questa rassegna di
prossima pubblicazione.
(Louapre C., et al. Conventional
and advanced MRI in multiple sclerosis. Revue
Neurologique (Paris) - Epub ahead of print doi: 10.1016/j.neurol.2018.03.009.
May 18, 2018).
La provenienza dell’autore
è la seguente: Istituto del Cervello e del Midollo Spinale, ICM, Ospedale Pitié-Salpêtrière, Dipartimento di Neurologia, Università La Sorbona,
Parigi (Francia).
Si riprende da una nota
precedente, che si consiglia di leggere perché riporta nozioni non reperibili
nella maggior parte delle rassegne recenti, un brano introduttivo sulla clinica
della sclerosi multipla:
“Clinicamente
la sclerosi multipla è distinta in 5 forme principali: la
remittente-recidivante, che è la più frequente, la forma secondariamente
progressiva, quella più rara che assume subito andamento progressivo, la forma
acuta[3]
e, infine, la sclerosi cerebrale diffusa[4].
Il sintomo iniziale in circa la metà dei pazienti è costituito da debolezza o
torpore in un arto o due: all’esame neurologico spesso il paziente riferisce
sintomi ad un solo arto ma si rilevano deficit, quali un Babinski positivo,
anche nell’arto controlaterale. Sono avvertite parestesie e sensazioni di avere
il tronco o un arto stretto da una fascia, verosimilmente per interessamento
delle colonne posteriori del midollo spinale. L’esame dei riflessi tendinei
inizialmente evidenzia ritardo di risposta che tende a mutare in iperattività.
In generale, le manifestazioni sintomatologiche variano secondo un’ampia gamma
di intensità, potendo essere sfumate o configurare vere e proprie paraparesi
spastiche o atassiche. In vari casi l’emergenza clinica assume il profilo di
una delle seguenti sindromi: 1) neurite ottica; 2) mielite trasversa; 3)
atassia cerebellare; 4) sindromi del tronco encefalico (vertigine, disartria,
diplopia, dolore o torpore faciale)”[5].
Ritorniamo ora al ruolo della
risonanza magnetica nella clinica della malattia demielinizzante.
Si ricorda che i criteri di
McDonald, che dall’aprile del 2001 hanno sostituito quelli di Poser e quelli
ancora precedenti di Schumacher, furono stabiliti da una commissione (international panel) che ebbe la
collaborazione della NMSS (National
Multiple Sclerosis Society of America) e fu presieduta dal neurologo Ian
McDonald.
In sintesi, il nuovo
orientamento conservava i principi della diagnosi clinica, ma introduceva per
la prima volta, in assenza di evidenze di semeiotica fisica, il ricorso
obbligatorio alla risonanza magnetica nucleare per dimostrare o escludere la
disseminazione nello spazio (DIS) e nel tempo (DIT); i nuovi criteri aiutano a
scoprire l’esistenza di lesioni demielinizzanti, dalle immagini o dai sintomi
clinici, a verificane la presenza in regioni diverse del sistema nervoso
centrale (DIS) e a rilevare il fenomeno dell’aumento (o “accumulo”) delle
lesioni (placche) nel tempo (DIT). Inoltre, il protocollo di McDonald
sostituisce le precedenti formule “sclerosi multipla clinicamente definita” e
“probabile sclerosi multipla”, con le seguenti: sclerosi multipla, non-sclerosi
multipla, possibile sclerosi multipla.
Nel 2005 e nel 2010 vi sono state due revisioni dei criteri di McDonald.
Polman e colleghi nel 2011,
basandosi sul consenso ottenuto dalle revisioni dei criteri di McDonald, hanno
fornito uno schema diagnostico che incorpora le variazioni alla risonanza
magnetica ed accresce ulteriormente la sensibilità nel rilevare le forme più
difficili da diagnosticare, in una fase ancora iniziale[6]. Come
è possibile rendersi conto dalla consultazione diretta di questo protocollo,
l’applicazione pedissequa e rigorosa di ogni sua parte non è certo agevole nella
pratica clinica. In proposito, Ropper, Samuels e Klein riferiscono una frase
attribuita al loro collega Kurtzke: “È sclerosi multipla ciò che un neurologo
esperto dice che sia”[7].
Tuttavia, anche questi autori riconoscono l’utilità di precisi criteri basati
sulla MRI per monitorare, seguire il decorso clinico e definire la prognosi.
Nella pratica neurologica,
come si è già accennato più sopra, accade con una certa frequenza che le
variazioni nel volume della lesione in T2 non forniscano le indicazioni sull’evoluzione
della malattia che ci si attende, ossia si verifica il cosiddetto paradosso
clinico-radiologico. Louapre riporta, dagli studi più recenti che sintetizza
nella sua rassegna, come le nuove
tecniche applicate alla metodica della tomografia mediante risonanza
magnetica, consentano la quantificazione
di vari processi patologici in vivo e
offrano elementi di conoscenza sulla fisiopatologia della sclerosi multipla, al
di là delle lesioni della sostanza bianca.
Queste tecniche avanzate
consentono di indagare i processi che hanno luogo sotto la superficie visibile
della patologia della mielina oligodendrocitica e, in tal modo, non solo
aiutano a rivelare il paradosso clinico-radiologico, ma forniscono anche misure
precoci delle anomalie tessutali, strutturali e funzionali, prima che si giunga
agli eventi patologici irreversibili della neurodegenerazione.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E
NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Si veda in Note e Notizie 11-06-16 Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.
[2] Sono sinteticamente illustrati più avanti, nel testo.
[3] Malattia di Marburg e sclerosi multipla tumefattiva.
[4] Malattia di Schilder e sclerosi concentrica di Balo.
[5] Note e Notizie 11-06-16 Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.
[6] Per questo schema si veda la tavola 36-2 a p. 930 di Adams and Victor’s Principles of Neurology (Allan H. Ropper, Martin A. Samuels, Joshua P. Klein, editors) 10th edition. McGraw Hill Medical, New York 2014.
[7] Adams and Victor’s Principles of Neurology (Allan H. Ropper, Martin A. Samuels, Joshua P. Klein, editors) 10th edition, p. 930, McGraw Hill Medical, New York 2014.